giovedì 28 febbraio 2013

L'eclisse

"L'eclisse" è un film del 1962, ottavo lungometraggio diretto da Michelangelo Antonioni, interpretato da Monica Vitti e Alain Delon.
La sceneggiatura è dello stesso Antonioni, assieme a Tonino Guerra, Elio Bartolini e Ottiero Ottieri.

È il capitolo conclusivo della cosiddetta "trilogia esistenziale" o "dell'incomunicabilità", dopo "L'avventura" e "La notte".
Presentato in concorso al 15º Festival di Cannes, vinse il Premio speciale della giuria, ex aequo con Il processo di Giovanna d'Arco di Robert Bresson.

In questo film Antonioni continua la sua ricognizione critica in una società caratterizzata da un crescente benessere materiale, grazie all'inarrestabile crescita economica, ma anche da una profonda crisi esistenziale.
Lo fa alternando sequenze di rumore e caos, ambientate nelle sale della Borsa di Roma, a lunghi silenzi e paesaggi di architetture fredde, geometriche (il quartiere dell'EUR), che riflettono l'incomunicabilità dei sentimenti e l'insuperabile senso di estraneità che caratterizzava il rapporto fra i personaggi.
Il finale del film è il punto di arrivo (e di non ritorno) di questa rappresentazione visiva, esteriore, dell'interiorità fragile, inadeguata, di un'intera generazione: gli oggetti inerti e le architetture metafisiche (che molti hanno associato ai quadri di Giorgio De Chirico) si sostituiscono completamente ai personaggi ("Gli ultimi 10 minuti silenziosi e senza narrazione, da cui scompaiono la Vitti e Delon, sconcertarono il pubblico; oggi appaiono di una bellezza abbacinante" commenta Alberto Pezzotta).

"L'eclisse" è il meno romantico dei tre film delle trilogia, il più preciso a livello sociologico, il più asciutto per nervosa stringatezza di linguaggio. La nevrosi che corrode esistenze e rapporti si fa stile, forma e non azione: in questo senso, per il dominio della casualità delle cose da cui sono scomparsi i segni umani, il finale è un punto di arrivo e di non ritorno. L'eclisse è, ovviamente, quella dei sentimenti. O degli affetti?

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